ludwig mies van der rohe - sull'insegnamento dell'architettura
da Casabella 767

«We must learn what a building can be, what it should be, and also what it must not be» Anche questo fascicolo di «Casabella» si apre con alcune pagine dedicate al tema dell'insegnamento dell'architettura. Come abbiamo spiegato nel numero 766, maggio 2008, della rivista, introducendo le risposte date da Le Corbusier nel 1938 alle domande che gli erano state rivolte da un gruppo di studenti inglesi, riteniamo che riconsiderare oggi come alcuni grandi architetti hanno affrontato il problema dell'insegnamento dell'architettura, dato lo stato in cui versano nella maggioranza le Scuole di architettura nel mondo e in Italia in particolare, sia non soltanto opportuno ma necessario. In queste pagine appaiono due testi di Ludwig Mies van der Rohe. Il loro tono è molto diverso da quello che caratterizza le pagine divertenti, sincere e accattivanti scritte da Le Corbusier nel 1938, il medesimo anno (è una curiosa coincidenza) in cui Mies pronunciò a Chicago il celebre discorso qui di seguito tradotto. Mies dedicò buona parte della sua vita all'insegnamento. Fu direttore del Bauhaus, prima a Dessau e poi a Berlino, dal 1930 all'agosto 1933; dal 1938, per venti anni, diresse il Dipartimento di Architettura dell'Armour Institute of Technology a Chicago (in seguito UT). Il primo dei due testi riproduce il telegramma con il quale Mies, nel 1950, rispose a Nikolaus Pevsner che per «The Architectural Review» era impegnato a condurre un'inchiesta i cui esiti vennero pubblicati dalla rivista (voi. 107, n. 642, giugno 1950) sotto il titolo, The Training of Architects: Interim Survey.
Il secondo testo di Mies qui tradotto è t'Inaugurai Address che egli pronunciò allorché assunse la carica di Direttore del Department of Architecture all'Armour Institute di Chicago nel 1938.

1 «Visualization of space must be supported by structural knowledge. Design without structural knowledge will result in dilettantism. Por this reason we make construction a prerequisite to architectural planning».

L'insegnamento e i valori


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«L'educazione tutta deve iniziare con l'aspetto pratico della vita.
Il vero insegnamento, tuttavia, deve trascendere questo aspetto e modellare la personalità.
Il primo scopo dovrebbe essere quello di dotare lo studente della conoscenza e della capacità per affrontare la vita pratica.
Il secondo fine dovrebbe mirare a sviluppare la sua personalità e renderlo così capace di utilizzare opportunamente quella conoscenza e quella capacità.
Pertanto l'insegnamento non ha a che fare soltanto con fini pratici ma anche con valori.
Gli scopi pratici sono strettamente connessi alla peculiare struttura della nostra epoca. I nostri valori, d'altro lato, hanno le loro radici nella natura spirituale dell'uomo.
I fini pratici sono misura soltanto del nostro progresso materiale. I valori in cui crediamo rivelano il livello della nostra cultura.
Nonostante i fini e i valori siano differenti, tuttavia sono strettamente connessi. Con che altro i nostri valori dovrebbero essere correlati se non ai fini della vita?
L'esistenza degli uomini si svolge in due sfere connesse. I nostri fini garantiscono la vita materiale, i nostri valori rendono possibile la vita spirituale.
Se questo è vero in relazione a ogni aspetto dell'attività umana anche quando la questione dei valori vi è coinvolta in minima parte, è davvero straordinariamente vero nella sfera dell'architettura. Nella sua forma più semplice l'architettura affonda le sue radici in considerazioni esclusivamente funzionali, ma attraversando tutti i livelli dei valori può sollevarsi sino alla sfera dell'esistenza spirituale, nel regno dell'arte pura.
Nell'organizzare un sistema per la formazione degli architetti, dobbiamo riconoscere questo punto se vogliamo che i nostri sforzi abbiano successo. Dobbiamo adattare il sistema a questa realtà. Ogni insegnamento di architettura deve spiegare queste relazioni e interconnessioni. Noi dobbiamo rendere chiaro, passo a passo, quali sono le cose possibili, necessarie e significative. Se l'insegnamento può avere uno scopo questo è di inculcare il senso della responsabilità e la capacità di introspezione.
L'educazione deve portarci dalle opinioni gratuite al giudizio responsabile.
Deve condurci dal caso e dall'arbitrarietà alla chiarezza razionale e all'ordine intellettuale.
Pertanto consentiteci di guidare i nostri studenti sulla strada della disciplina a partire dai materiali, attraverso la funzione sino al lavoro creativo. Consentiteci di accompagnarli nel mondo salubre dei metodi costruttivi primitivi, dove ogni colpo d'ascia ha un senso e ogni segno dello scalpello reca una espressione.
Dove è possibile trovare una chiarezza strutturale più limpida di quella che si può osservare in una antica costruzione in legno? In quale altro luogo possiamo osservare una simile unità di materiale, costruzione e forma?
Qui si conserva la saggezza di intere generazioni.
Che sensibilità per i materiali e quale potere dell'espressione in queste costruzioni! Che calore e bellezza, quasi fossero gli echi di antiche musiche!
La medesima cosa vale per una costruzione in pietra: quale ammirevole sensibilità naturale esprime! Quale chiara comprensione del materiale! Come è sapientemente connesso!
Che meravigliosa sensibilità possedevano quanti nel passato decidevano dove impiegare la pietra e in che occasioni rinunciarvi!
Dove possiamo trovare una struttura più sicura? Dove una bellezza più naturale e vitale? Con che facilità posavano le travi di una copertura su queste antiche pietre e con quanta sensibilità ritagliavano tra loro le aperture!
Quali esempi migliori per un giovane architetto? Dove questo giovane potrebbe apprendere arti altrettanto semplici e vere se non da questi antichi, sconosciuti maestri?
Possiamo imparare anche dal mattone.
Come è sensibile questa piccola forma maneggevole, così pronta a ogni bisogna!
Che logica meravigliosa nel modo in cui si connette, forma una trama, da vita a una tessitura!
Che ricchezza nella superficie del muro più semplice! Ma che disciplina questo materiale richiede!
Perché ciascun materiale possiede caratteristiche proprie e noi le dobbiamo comprendere se intendiamo utilizzarlo.
E questo non è meno vero nel caso dell'acciaio e del calcestruzzo. Dobbiamo sempre ricordarci che tutto dipende dal modo in cui lo usiamo e non dal materiale in sé. Anche i nuovi materiali non sono necessariamente superiori. Ogni materiale è soltanto il risultato del nostro fare. Noi dobbiamo avere con le funzioni il medesimo rapporto di familiarità che intratteniamo con i materiali. Dobbiamo analizzarle per renderle chiare. Per esempio dobbiamo imparare a distinguere un edificio dove vivere da ogni altro tipo di costruzione. Dobbiamo imparare cosa un edificio può essere, cosa dovrebbe essere e anche cosa non dovrebbe essere.
Dobbiamo considerare una a una le funzioni di un edificio e usarle come basi della forma.
Così come dobbiamo familiarizzarci con i materiali e comprendere le funzioni, alla medesima maniera dobbiamo familiarizzarci con i fattori psicologici e spirituali dei nostri giorni.
Se così non accade nessuna attività culturale è possibile; pertanto noi dipendiamo dallo spirito del nostro tempo.
Per questa ragione dobbiamo comprendere le motivazioni e le forze del nostro tempo e analizzarne la struttura da tre punti di vista: uno materiale, l'altro funzionale e il terzo spirituale. Dobbiamo chiarire ciò che rende la nostra epoca diversa da altre e quanto la assimila a loro.
A questo punto sorge il problema della tecnologia della costruzione.
Dobbiamo occuparci di veri problemi - problemi legati al valore e ai fini della nostra tecnica.
Dovremo far vedere che la tecnica non soltanto promette grandezza e potere ma nasconde anche pericoli; che il male e il bene le sono propri come accade per ogni azione umana; che il nostro compito è prendere la giusta decisione.
Ogni decisione porta a un tipo d'ordine particolare.
Quindi dobbiamo comprendere quali principi dell'ordine sono possibili e renderli chiari.
Dobbiamo riconoscere che l'ordine risultato di un principio meccanicistico attribuisce un peso eccessivo agli aspetti materialistici e funzionalistici della vita e che per questo non può stimolare la nostra attesa per il prevalere dei fini sui mezzi e la nostra aspirazione a dignità e valore.
L'ordine derivato da un principio idealistico, d'altro canto, incline a enfatizzare astrazione e forma, non può soddisfare il nostro interesse per la semplice realtà né il nostro senso pratico.
Pertanto noi dobbiamo porre l'accento sull'ordine derivato da un principio organico, come mezzo atto a consentire il felice relazionarsi delle parti tra loro e delle parti al tutto.
E dovremo prendere posizione.
Il lungo cammino che porta dal materiale al lavoro creativo attraverso la funzione ha soltanto un unico fine; trarre ordine dalla disperante confusione del nostro tempo.
Dobbiamo avere ordine, assegnando a ciascuna cosa la sua appropriata collocazione e assegnando a ciascuna cosa quanto le spetta secondo natura.
Dovremmo farlo in modo tanto perfetto da far sì che da esso fiorisca il mondo delle nostre creazioni. Non vogliamo di più; di più non possiamo fare.
Nulla può esprimere i modi e i fini del nostro lavoro meglio delle profonde parole di Sant'Agostino: "la Bellezza è il risplendere del Vero"».